venerdì 31 gennaio 2014

Parlare di cose belle. Ancora. E ancora e ancora.


Mi sono persa un po’.
Mi è stato chiesto a cosa servisse parlare di cose belle. Mi è stato detto che bisogna farle. Punto. E basta.
Ho pensato fosse vero: a che serve descrivere quanto sia meraviglioso regalare un sorriso? Non puoi capirlo a fondo finché non lo fai. È giusto.
Poi, però, mi sono imbattuta nel dolore che generano i fiumi di parole che ogni giorno vengono dedicate a sofferenza, paura, sconforto, Crisi, solitudine, rabbia. Ti gettano in un tunnel buio senza alcun apparente motivo. Stavi bene fino a un attimo prima e poi, all’improvviso, una coltre di fuliggine spessa copre ogni cosa. Ed è dolore.
Perché non può accadere la stessa cosa se si racconta la Felicità? Dare un po’ di spazio ai colori delle cose belle le rende più reali, può spezzare il buio, può illuminare un mondo che c’è, ma non si vede. O si vede sempre meno. Dedicargli un po’ di tempo può rendere le cose belle una sana abitudine da apprezzare ogni giorno. E per questo non servono spiegazioni.

Tornerò a raccontare del brivido caldo di un abbraccio, della luce di un sorriso, della sorprendente forza contagiosa della Felicità.

Perché ne vale la pena. 
Ne sono certa.



mercoledì 1 maggio 2013

Felicità scomposta


Ci sono desideri che si realizzano senza che siano stati espressi. Non potevo immaginarlo. E quanto ti riempie il cuore esser la mano che ha fatto la magia… Non esistono parole per spiegare la sferzata di vita che ti dà l’aver disegnato un sorriso su un volto. Al solo pensiero, non mi sento più le gambe!

È successo questa mattina. Prima che il negozio aprisse, riordinando spazi e cose con i colleghi in preparazione di una nuova giornata di lavoro. Saluto Madame M. che insegue il suo grosso aspirapolvere [Vedi post del 18/04/2013 - Bugia bianca]. Si volta (lei. Non l’aspirapolvere). Mi ferma. Si avvicina sorridendomi. Non dice una parola. Continuando a sorridere, mi porge un pezzo di carta che tira fuori dalla tasca del grembiule blu. Mi insinuo tra le pieghe del foglio consunto e scorro con gli occhi le righe evidentemente lette e rilette.

Sotto l’indirizzo mail del direttore ritrovo le mie parole "Buona sera, oggi ho assistito a una scena molto infelice nel vostro negozio..." Fingo di leggere fino alla fine, ma mi tremano le mani. Non riesco a parlare. Per fortuna lo fa Madame M.  “Il direttore, mi ha chiamata nel suo ufficio, ieri l’altro. Ha ricevuto questa mail.” Si ferma. Le brillano gli occhi. Ingoia il nodo che ha in gola. “L’ha stampata e me l’ha consegnata. Mi ha detto che è fortunato che io lavori qua. FORTUNATO, CAPISCI!?!” 
Mentre Madame M. si scompone per l’entusiasmo, io sento le vertebre della colonna attorcigliarsi tra loro. 
“Non è finita!” 
Le rotule mi scivolano sulle tibie.
 “L’ha mandata al mio capo [quello dell’azienda appaltata dal negozio, deduco]. Lui l’ha inoltrata all’amministratore delegato!!! E lui…stamattina…mi ha telefonato!!” Prende fiato. Io, intanto, lo perdo. 
“Si è congratulato con me!!” 
Alza la voce. Sento staccarsi la pelle dalla faccia.
“Mi…Mi…Mi...MIDARANNOUNPREMIO!!!!!!” 
Esplode in un liberatorio pianto di gioia.

Cos’ho fatto?
...
Sono stata io.
...
Come ho fatto?!?

Mentre l’abbraccio, due lacrime tagliano quel che resta della mia faccia.

Non piango di gioia da quando avevo tre anni.

venerdì 19 aprile 2013

Bugia bianca


Ho trascorso quasi un mese nell’ apatia, a lasciarmi travolgere dal dolore e dal senso di sconfitta che stanno inondando strade, fiumi, terre, nubi, persone, case, cose. Tutto. Ho abbandonato corpo e mente al ritmo della disperazione che ci circonda chiudendo gli occhi per non vedere il buio.
Ma, dopo troppi giorni vissuti come notti, il bisogno di vivere ha preso con prepotenza il sopravvento e gli occhi del Signor T. hanno risvegliato un’urgenza di ossigeno che sembrava sparire lentamente.
E così, guardando il ricordo dei suoi occhi, ho ritrovato il bisogno di cose belle che restituiscono vita e ho capito di dover restituire un sorriso per suggerne l’energia.
È beffarda la vita, si sa. Ma è pure disponibile e cordiale quando è giusto esserlo. Così oggi, mentre smontavo una scatola nel magazzino del negozio in cui lavoro, con rinnovata sorpresa, la vita mi ha bussato alla mia porta. 
Una rapida sequenza di singhiozzi sordi e soffocati ha interrotto il frastuono del cartone spezzato e, inevitabilmente, attirato la mia attenzione. 
Che sorpresa trovare Madame M. nascosta in un angolo ad asciugar via le lacrime e l’umiliazione dal suo viso sempre sorridente e luminoso!

LA STORIA DI MADAME M.
Madame M. lavora nel negozio in cui anche io mi procaccio lo stipendio, ma lei svolge una mansione molto più importante, faticosa e “invisibile” della mia. Madame M. si occupa delle pulizie. Ogni giorno, mattina e sera, garantisce al pubblico e a noi lavoratori igiene, brillantezza e sorrisi a profusione. Sinceramente non credevo che Madame M. potesse piangere. Pensavo che proprio non fosse dotata di ghiandole lacrimogene e che il suo sorriso fosse una parte del corpo. Come dire, noi umani abbiamo due braccia, due gambe, una bocca e così via; Madame M., invece, ha due braccia, due gambe, un sorriso e tutto il resto. Eppure la cattiveria e la stupidità umane hanno ancora una volta smontato le mie stupide certezze.
Insisto e insisto finché, con l’orgoglio ferito tra le mani, accartocciato affianco al fazzoletto, Madame M. sfoga la sua rabbia.
“Stavo lavando i servizi e il pavimento era bagnato: come faccio sempre, ho aspettato che asciugasse impedendo ai clienti di entrare ché poi, se scivolano, si fanno male e finiamo tutti nei guai! Arriva una signora e mi grida addosso:- Io devo andare in bagno! Ma le pare il modo di lavorare? Lavare i bagni quando ci sono clienti in negozio??? E io cosa faccio adesso? Me la faccio addosso?!? Che vergogna…-.
E io piango non perché mi ha umiliata, no! Io stavo solo facendo il mio lavoro e non mi vergogno affatto di lavare i cessi per guadagnarmi da vivere! Piango perché sono arrabbiata. Non ho potuto rispondere, io, mentre quella maleducata mi offendeva davanti a tanta altra gente! Stavo lavorando, io, e, quando ho questo grembiule addosso, ai clienti non posso dire niente. Ma se mi avesse trattata in quel modo fuori di qua…ah! Gliene avrei dette quattro, sai?!”
Sono sbalordita. 
Non fosse che conosco Madame M. da anni e so che persona limpida sia, stenterei a credere alla sua storia. Ma Madame M. dice sempre quello che pensa e non mente perché sa di non averne bisogno. L’ho sempre stimata per questo.
E ora? Che faccio? Cercare disperatamente quella donna e dirgliene quattro sarebbe oltre che impossibile, profondamente sbagliato e umilierei ulteriormente Madame M., ma non posso lasciar scivolare questa faccenda nel silenzio e nell’ indifferenza. Io ora so che è successo, ecchecavolo!
Abbraccio Madame M. (perché le voglio bene e perché non riesco a non farlo) e le consegno la mia spalla perché ci pianga ancora un po’ su.
Torno a lavorare e mi sudano le mani. Mi incammino verso casa e una morsa mi stritola la bocca dello stomaco. Proprio lì la cena si appoggia e giace indisturbata. No, decisamente in queste condizioni non si può andare a dormire.
Devo fare qualcosa.
Creo un indirizzo di posta sotto falso nome (si chiamano “bugie bianche”, dalle mie parti), divento una signora sulla sessantina e invio al direttore del negozio una lunga mail.

Buona sera,
oggi ho assistito a una scena molto infelice nel vostro negozio. Sono un’assidua cliente del negozio, ne apprezzo i commessi cordiali e preparati. Trovo che sia un posto raro, accogliente e molto piacevole. Per questo scelgo di frequentarlo spesso e per i miei acquisti non ho mai avuto dubbi: è il posto giusto. Quale destinazione migliore, pertanto, per l’acquisto dei doni per i miei nipoti? Tra un reparto e l’altro mi reco ai servizi. Ecco un altro vantaggio: avete i servizi igienici a portata di mano. Approssimandomi verso la toilette assisto all’ infelice scena di una donna che, adirata e stizzita, offende in malo modo l’inserviente che si occupa delle pulizie. I bagni sono chiusi perché i pavimenti sono appena stati puliti e dunque bagnati. La maleducata cliente non accetta di non potervi accedere.
Vi scrivo, gentili signori, perché l’inserviente è stata in malo modo offesa e umiliata mentre svolgeva le sue mansioni, rispettando le norme di sicurezza (lasciando libero accesso ai servizi, qualcuno sarebbe potuto scivolare), igieniche (avrebbe forse fatto meglio a non pulire i servizi e lasciarli sozzi, ma accessibili?) e neppure ha risposto come l’interlocutrice avrebbe meritato.  Vi chiedo, se possibile, di ringraziare la signora che si occupa delle pulizie a nome dei vostri clienti: grazie a lei e al suo onesto e pregevole lavoro, possiamo  usufruire di un servizio igienico per lo più pulito (quando non lo è, la colpa è da imputarsi a sozzi individui irrispettosi come purtroppo ce ne sono tanti) e di uno spazio pubblico ampio, accogliente, ma sempre pulito come questo negozio.
Augurandomi che questa mia segnalazione possa essere letta e riportati i miei ringraziamenti alla signora che si occupa delle pulizie, ringrazio del servizio e auguro a tutti i commessi buon lavoro.

So che il direttore leggerà la mia mail, ne ha l'obbligo. Questo è quel che conta: lui deve sapere anche se Madame M. non gli racconterà mai l’accaduto. E forse da domani la guarderà con ancor più rispetto. Perché ora sa che dignità e orgoglio fanno di lei molto più che un’ottima professionista: ne fanno una donna straordinaria. 
E noi dobbiamo essere onorati di lavorare al suo fianco.

Ora sì, posso andare a dormire.

giovedì 21 marzo 2013

Il sorriso capovolto del cielo


Adoro viaggiare in treno: ogni viaggio è un’avventura e ogni treno un piccolo film con scenografie in rapida trasformazione e personaggi che si sostituiscono ad ogni stazione.  

Sono qui a godermi il film di oggi e a interpretare il mio piccolo ruolo, ma sono vagamente assente da qualche giorno e ora la mia presenza è molto marginale, sono poco più che una comparsa accovacciata sul suo sedile.
Non faccio che pensare al Signor T.
Quello sguardo che dal basso si è alzato, se pur di poco, verso il cielo. E quel sorriso abbozzato, timido, quasi immeritevole.  Quell’ accenno sottile di felicità è sufficiente a farmi vibrare di un’emozione limpida. Che strana e meravigliosa sensazione di gioia pura…
Forse si riferiva a questo Ban Ki-Moon quando, proprio ieri, ha istituito, a nome delle Nazioni Unite, la Giornata Mondiale della Felicità: “Quando contribuiamo al bene comune, arricchiamo noi stessi.  La compassione promuove la felicità e contribuirà a costruire il futuro che vogliamo”.
E poi sarà che oggi è il primo giorno di primavera,  ma tutto questo benessere profondo mi dà alla testa. Alzo lo sguardo e incontro il mio riflesso nel finestrino: sotto gli occhi leggermente socchiusi, un sorriso incontrollato si è allargato tra una guancia e l’altra. “Questa dev’essere l’espressione della  felicità” penso.
 Poi guardo oltre il mio riflesso e lui è lì, a coronare questo uragano di belle sensazioni: con la grazia discreta della natura, tra le nubi grigie si è fatta spazio una striscia di colori brillanti e il verde dei prati sembra sentirsi un po’ meno solo.
Ecco a voi, signore e signori, l’Arcobaleno, il sorriso capovolto del cielo.



domenica 17 marzo 2013

Empatia


Mi sveglio diversa dal solito, mi sento già un po’ cambiata. C’è qualcosa da capire, da trovare, da pensare, da pensare a come trovare, da capire come pensare…va beh.
Empatia.
Il freddo pungente dell’inverno mi sveglia in fretta, il pullman corre e mi porta al lavoro. Ci penso, ma…niente.
Empatia.
E mail, telefonata, appuntamento, telefonata, e mail, appuntamento, e mail, telefonata, email, e mail, pausa pranzo.
Empatia.
Dove? Come?
E mail, telefonata, appuntamento, telefonata, telefonata, e mail, appuntamento. Cliente, fornitore, cliente, cliente, fornitore,colleghi, direttore, colleghi, fornitore, direttore, cliente. Signor T.
Signor T. Ecco.
Eccola lì l’empatia.

LA STORIA DEL SIGNOR T.
Il Signor T. ogni giorno alle sei di sera beve un cappuccino senza cacao e mangia una tortina morbida alla ricotta. Questo accade nel bar affianco al posto in cui lavoro, tra decine di persone che corrono tra un caffè e un drink veloce. Il Signor T. non si cura di loro e della loro fretta, lui ha un sacco di tempo e nulla da fare. Il Signor T. non guarda in faccia nessuno, non perché è una persona scontrosa, solo perché la curva della sua schiena lo porta a curarsi più delle scarpe che degli occhi di chi gli passa accanto.
In silenzio si avvicina al bancone, i ragazzi del bar lo conoscono bene, gli riservano sempre una sedia e un tavolino così lui se ne sta lì un’oretta a fissare i suoi e gli altrui piedi, consuma la colazione fuori orario, paga e se ne va. Tutti i giorni.
Del Signor T. si narrano molte storie, ma io non l’ho mai visto parlare con nessuno. Si racconta che abbia fatto tanti anni l’operaio in Argentina (qualcuno dice l’ambasciatore…) e, durante la recessione, sia tornato in Italia, ma, a causa del cambio sfavorevole, si sia trovato senza soldi. Si narra che mangi cibo per cani perché non può permettersi di meglio, ma che possegga un grande appartamento in una delle vie più prestigiose della città.
Io so solo che il Signor T non parla con nessuno, forse anche perché è un po’ sordo e quando saluta i ragazzi del bar urla fortissimo. So che tutti i giorni beve il cappuccino e mangia la tortina alla ricotta. Io so solo quel che vedo e la mia sensazione è che il Signor T. sia una persona molto sola, ma magari gli va bene così. Per questo ho pensato di fargli sentire che non è solo quanto pensa, ma senza invadere il suo spazio che sembra non voler condividere un granché. La colazione delle sei, oggi, gliela offro io, assicurandomi che i ragazzi del bar gli dicano solo che qualcuno ha pagato per lui, ma non chi sia stato. Non voglio che mi ringrazi, proprio no. Il Signor T. consuma in silenzio e si dirige verso il banco del bar dove Marco gli dice distrattamente “Nonno, oggi non paghi, qualcuno l’ha già fatto per te”, “COS’ HAI DETTO?”urla il Signor T. “TI HANNO OFFERTO LA CONSUMAZIONE, NON DEVI PAGARE” risponde Marco ”E CHI È STATO?” “NON PREOCCUPARTI DI CHI È STATO, VAI A CASA TRANQUILLO! CI VEDIAMO DOMANI”. Il Signor T. alza la mano in segno di saluto e si gira. Lo guardo da lontano mettere pian piano un piede di fronte all’ altro e dirigersi verso l’uscita. E in quel momento la sento nel cuore, nella pelle, negli occhi, dappertutto.
Empatia.
Sul volto del Signor T. si allarga un sorriso spontaneo che distende lentamente le rughe della fronte e illumina lo sguardo. Mentre si allontana posso commuovermi nel vedere la curva della schiena raddrizzarsi leggermente. Il Signor T. cammina un po’ più dritto, un po’ più su e guarda le persone che lo circondano come non l’avevo mai visto fare.
Empatia.

Non ho fatto una cosa grande, lo so. Non sono un eroe. Un eroe è il volontario della croce rossa o chi, zaino in spalla, va a portare sollievo agli sfollati o una coperta ai senza tetto. Un eroe è chi tutti i giorni dedica tempo e soldi a chi sta peggio di lui, è chi fa grandi donazioni. Un eroe è quel signore che ha raccontato la favola dei 36 giusti.
No, io decisamente non sono un eroe.
Sono una voce qualunque che sta cercando di regalare un sorriso a chi ne ha bisogno tra un’e mail, un appuntamento, una telefonata e un pullman che corre veloce.
So che ho cercato di capire cosa avrebbe reso felice il Signor T. e ho pensato che per lui sapere che qualcuno l’ha visto, l’ha notato e gli ha dedicato un pensiero valesse molto più di quei 3 euro che oggi non ha speso. E non so se questo gesto abbia riempito il cuore più a me o a lui.
Ma so che siamo stati un po’ meglio entrambi.
E questa è una cosa bella.

giovedì 14 marzo 2013

I 36 GIUSTI


Anno 2010. Una sera fredda di fine Novembre, una persona straordinaria ha raccontato a oltre otto milioni di persone una favola. Io ero lì ad ascoltare.
Mi permetterò di riportare le sue preziose parole testualmente perché non saprei certo esprimermi meglio.

Ogni mattina Dio si sveglia e guarda questo mondo insopportabile pieno di corruzione , di cattiveria, non è proprio come l’aveva sognato, come aveva tentato di crearlo e quindi è lì pronto a distruggerlo, ogni mattina. Ma ogni mattina ci sono 36 giusti, 36 persone che si comportano bene cioè sentono il dolore dell’altro,”empatia”, sentono la felicità dell’altro, agiscono bene, facendo il proprio mestiere, cercando di dare il meglio e quando sbagliano, sbagliano perché hanno cercato di dare il meglio.*

Questa persona straordinaria ha detto, dice e continuerà a dire infinite parole di raro valore, gliene saremo grati in molti e per molto tempo. Ma questo breve racconto ha aperto un vuoto nel mio stomaco, acceso una luce negli occhi. Come quando qualcuno batte sulla spalla per chiamarti, ma sei assopito e ti svegli di soprassalto,”che succede??”, pensi… Pensi.
Pensi.
Ho pensato.
Io ho pensato che non appartengo a quelle 36 persone, le ho contate più e più volte e… no, proprio non ci sono. Eccolo lì il vuoto nello stomaco. Ecco cosa mancava. Quel senso di inutilità che scandisce le mie giornate, la mancanza di un significato nei gesti di tutti i giorni, l’assenza di una direzione. E poi la percezione che a tutto questo ci si abitui facilmente, senza neppure accorgersene. È allora che inizia l’accidia.
La mia sfida parte da qua ed è una di quelle sfide che sai che il solo affrontarla ti cambierà parecchio la vita.
Ecco la direzione del mio viaggio: riuscire ad essere una di quelle 36 persone giuste, se non ogni giorno, almeno molto spesso.
Empatia. 

I Giusti
di Jorge Luis Borges

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo





*Roberto Saviano - Vieni via con me [15/11/2010] - Rai3 -  min. 02:03:14/02:06:00